Dopo aver parlato di ciò che questa città offre e dei vantaggi di trasferirsi all’estero, è dovuto esplorare l’altra faccia della medaglia.
Ci sono due categorie di Italiani che emigrano: ci sono gli Italiani che trovano e gli Italiani che cercano.
Qualcuno va via dall’Italia perché ne ha avuto l’occasione, gli è stato offerto un lavoro, una borsa di studio o è stato trasferito dalla sua azienda.
In questo caso, pur non essendo semplice, il passaggio è meno sofferto di chi parte all’avventura. Io rivesto una posizione intermedia tra queste due categorie, pur sentendo di appartenere più alla seconda.
L’italiano che parte alla ricerca di qualcosa, ha uno zaino più pesante, carico di dubbi, paure e nostalgie assai più consistenti dell’italiano trovatore.
Chi decide, a qualsiasi costo, di lasciare l’Italia lo fa per un’idea, un ideale o un’idealizzazione.
Molti lo fanno per disperazione, alla ricerca di un lavoro, di un’occasione che possa cambiare la loro vita. Cercano la possibilità che nessuno gli ha offerto, la fiducia che non è stata loro concessa, o, talvolta, la dignità di un lavoro.
Ma non è così facile e chi inizia a trastullarsi con l’idea di partire deve saperlo.
Anche se si è disposti ad affrontare i sacrifici, quando si è soli, lontani da casa, il malessere arriva. Soprattutto se le cose si dimostrano meno facili del previsto.
Mi colpisce la quantità di italiani che ogni settimana scrivono sulle pagine di facebook alla ricerca di lavoro come lavapiatti. Mi da la misura di quanto scappare dal nostro paese sia per molti diventato urgente.
È importante sapere che l’afflusso massiccio di persone che arrivano ogni giorno alla ricerca di impiego e che, in attesa di trovarlo, chiedono sostegno allo stato, sta portando le autorità a negare i benefit agli immigrati dell’EU.
Io sono partita per un ideale e colma di idealizzazione verso la realtà che mi attendeva.
Sia io che mio marito avevamo entrambi un lavoro stabile e sicuro, ma entrambi cercavamo qualcosa di più per noi e per i nostri figli.
Un paese che concedesse possibilità e gratificazioni, dove non ci dovessimo sentire due animali da soma o limoni da spremere.
Un posto dove le nostre lauree valessero veramente e il nostro valore riconosciuto non solo attraverso il carico maggiore di lavoro (“Perché solo a te possiamo affidare questo incarico”) che toglie passione ed energie, ma non corrisponde a nessuna crescita professionale ed economica.
Mio marito è partito prima di me, trovando un ottimo lavoro e, a tutti i livelli, quello cercava.
Io l’ho raggiunto nove mesi dopo con i figli, carica di aspettative e idee sulle mille cose che avrei potuto fare.
Tornare alla realtà è sempre utile, sebbene doloroso.
La mia laurea è strettamente legata al linguaggio e pur avendo un discreto livello di Inglese, questo non basta ad ottenere l’iscrizione all’albo della mia professione.
Non l’ho ritenuto un problema, inizialmente, mi sono detta che avrei potuto fare qualsiasi lavoro e ho iniziato a inviare centinaia di curriculum in ogni ambito lavorativo dal più umile al più prestigioso.
Nella mia vita ho avuto molte esperienze lavorative diverse e tutte entusiasmanti.
Qui arriva la prima grossa differenza con l’Italia che ognuno di noi può interpretare a modo suo.
In Italia puoi rivestire qualsiasi incarico anche se sei più qualificato, anzi, benvenuto laureato cameriere. Qui, se sei troppo qualificato non hai ragione di togliere lavoro a chi non lo è, dunque: resta al tuo posto.
Questo è il messaggio, che in parte condivido.
I lavori più semplici sono riservati a studenti o persone senza titoli. Lavori vicini per analogia alla mia professione sono riservati a chi ha esattamente la qualifica richiesta e io non posso accedervi.
Insomma non se ne viene a capo.
L’unico lavoro che ho trovato al momento è in parte pagato dal Ministero degli Affari Esteri Italiano.
Questo fardello viene appesantito dall’inevitabile nostalgia e il carico di dubbi sulla tua scelta.
Ci si sente inadeguati e improvvisamente si ha l’impressione di non valere più molto, qui non sei nessuno e devi ricominciare da capo.
Si fa, si fa tutto, ma non è facile.
Credo ancora di aver fatto la scelta giusta, anche se vedo i miei figli sentirsi diversi e soli. Anche se mi chiedono il perché delle nostre scelte ogni settimana.
Il consiglio che umilmente do è di non partire a caso, informarsi bene sulle reali possibilità di trovare impiego, non chiedendo su facebook, ma cercando sui siti le offerte di lavoro.
Se possibile, trovare il lavoro prima di partire. Senza la conoscenza della lingua si va poco lontano e qui a Glasgow la difficoltà è maggiore perché parlano una lingua tutta loro.
Le esperienze di ognuno sono molto diverse, dipende dall’indole, dall’esperienza, a volte dalla buona sorte, ma credo che l’epoca del “Parto per cercare fortuna” sia finita, quindi è meglio ponderare attentamente e piuttosto, partire qualche mese dopo, ma un po’ più pronti e con la sicurezza di cosa si sta cercando e delle reali possibilità di trovarlo.
By Anna65
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In bocca al lupo!
Francesco