Avevo 18 anni la prima volta che ho letto La linea d’ombra.
Me lo regalò mio padre pensando a ciò che vivevo. 18 anni, appena finito il liceo, devi e vuoi capire cosa fare da grande, devi scegliere una direzione da prendere e quel libro fu una bella lettura.
Ma credetemi non avrei mai immaginato che solo arrivata alla soglia dei 40, quel libro avrebbe acquisito il suo più autentico significato!!!
È un romanzo breve, lo puoi leggere quasi d’un fiato e così è capitato a me.
Era in uno dei tanti scaffali, dimenticato da tempo, quando l’occhio mi cade su quella copertina.
Ho sorriso. Vedo Joseph Conrad, la linea d’ombra…lo prendo, quasi timidamente, lo apro e inizio a leggere…ve lo giuro, non ho mai sorriso così tanto sotto i baffi…
Leggo del capitano della nave e sono io, sembra proprio che parli di me.
Una nave da portare in porto e una sola difficoltà da superare: la bonaccia.
Come se ci fossero tutte le condizioni: una nave mercantile, un viaggio da affrontare, un equipaggio esperto, un carico da condurre in porto, e io, e il capitano a cui quella nave è stata affidata.
Si, a 40 anni, come del resto a 18, sei tu il capitano della nave Orient.
O almeno questo è il mio personalissimo parere rispetto al momento in cui ciascuno di noi prende atto della propria indipendenza.
Con una grossa difficoltà: la bonaccia. Una nave a vela e la totale assenza di vento che la spinga avanti.
Ecco quello che vivevo.
In poche parole ero in bonaccia e avevo paura che ogni piccolo soffio di vento mi spingesse nella direzione sbagliata.
Poco conta, tanto quel vento non c’era.
Un’azienda che non va più, il titolare che mi confida le sue difficoltà, io che per due anni accetto di guadagnare di meno pur di rimanere attaccata a Pavia, e infine la totale assenza di un lavoro dopo 16 anni di esperienza come sales manager.
Penso: vado via, e ho coltivato questo pensiero per otto lunghi mesi in cui sono tornata a vivere dai miei genitori, ormai anziani e con una pensione che non bastava neanche a loro.
La mia bonaccia era fatta di questa condizione, condita dal senso di colpa che ti attanaglia e ti frena, come fossero delle scuse che fornisci su un piatto d’argento a te stessa e agli altri.
Ma come puoi partire lasciando tua madre e tuo padre anziani in Italia?
Chi si occuperà di loro?
Come è possibile accettare tanto egoismo?
E poi gli amici, la tua vita, i tuoi 40 anni che sembrano un macigno.
Avevo letto che a 40 anni tutto cambia e stavo provando sulla mia pelle quanto fosse vero, ma in peggio.
Dall’altra parte avevo però la responsabilità della mia nave e con lei quella di realizzare me stessa.
Non so quanti si siano mai trovati in questa situazione, ma vi garantisco che andando al supermercato e guardandomi intorno, mi sentivo l’unica.
Sembravano tutti soddisfatti e impegnati in ciò che facevano.
L’aperitivo delle 19 con i miei amici era ancora più sconfortante.
Lavoravano tutti, avevano una bella casa e dei figli, oltre ai tanti progetti per le vacanze, il ponte di Pasqua, la gita al mare e gli appuntamenti in palestra o dal parrucchiere.
Ma dico io: come avevo fatto a precipitare così?
Senza rendermene conto, un passo alla volta.
Avevo persino pensato di rivolgermi ad uno psicologo per capire cosa c’era in me che non funzionasse, e ovviamente, in quella situazione, l’ultima cosa a cui pensavo era ad un uomo, ad una famiglia, ad un figlio.
Sembra crudo dirlo, ma io non potevo permettermi di far salire sulla mia nave in bonaccia persone da amare.
Su una nave così è meglio non fare promesse.
E davvero mi ripetevo: ragazzi, ma questa crisi va bene a 18 anni, anzi, è sacrosanta, non a 40!!!
L’unica cosa che potevo fare non era ribellarmi, ma remare.
Sarà per questo forse, sarà proprio grazie a Conrad e a quell’immagine che mi trascinavo fissa che iniziai a immaginare località di mare cristallino.
Vado in Grecia: fallimentare, un paese con troppe difficoltà; vado in Spagna, stessa storia; vado in UK, al nord, ma è sempre Europa.
Ho preso al vaglio almeno 15 Paesi esteri.
Ho valutato clima, opportunità di lavoro, e opportunità che si trasferissero anche i miei.
Ho iniziato a fare l’elenco dei parenti che nel dopoguerra sono stati emigranti.
Vivevano in Canada, New York e Perth, in Australia.
Li chiamo, ci sentiamo, ci scriviamo, ci scambiamo foto e la loro gentilezza è durata finchè non gli ho chiesto aiuto.
Da quel momento in poi sono spariti.
Sono poi passata all’elenco dei concittadini che si erano trasferiti all’estero prima di me.
Stessa storia…
Quando ho informato la mia vecchia amica di liceo che stavo pensando di trasferirmi a Vancouver dove lei viveva, le si è fermato il fiato…
…e ha iniziato a farfugliare!
Quindi, decido di rintanarmi in casa.
La situazione peggiorava di ora in ora, finché ho acceso il computer e mi sono rimboccata le maniche.
Ho preparato il mio CV, ho scritto una lettera di presentazione, ho cercato l’elenco delle aziende che nel mondo potessero essere interessate alla mia esperienza e competenza professionale e ho iniziato ad inviare una ad una delle mail dirette ai direttori generali, responsabili del personale, colleghi.
Dopo otto mesi lunghissimi vedo la prima concreta prospettiva: Panama.
Mi sono trasferita qui sei mesi fa e sto ancora migliorando il mio spagnolo e prendendo le misure con la vita che faccio, ma finalmente soffia il vento.
Lavoro in una piccola azienda italiana che sta crescendo a gonfie vele e ho l’entusiasmo di condividere con i titolari questa sfida.
Panama è un paese che sta cambiando e nel quale stanno arrivando molti italiani.
La pressione fiscale rende possibile gli affari e dopo tanti anni vedo delle nuove opportunità.
Non avrei mai pensato di trasferirmi a Panama e non credo certo di aver trovato l’eden, ma se l’alternativa è solo la bonaccia, ragazzi, un soffio di vento diventa oro.
By Valentina75
[…]
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In bocca al lupo!
Francesco