Italiani: “Un popolo di poeti di artisti di eroi
di santi di pensatori di scienziati
di navigatori di trasmigratori”.
Soprattutto, trasmigratori. In particolare negli ultimi anni. Perché mai, come oggi, dall’Italia si parte. Secondo l’Istat nel solo 2013 il numero di Italiani all’Estero è aumentato di oltre il venti per cento rispetto al 2012, raggiungendo la percentuale più alta degli ultimi dieci anni.
Ad ogni modo, che la ragione sia la ricerca di una nuova vita, un viaggio di lavoro o una semplice vacanza, sono sempre di più coloro che dall’Italia si spostano. E, per la prima volta nella storia, il viaggio ha cessato di essere una prerogativa di determinate estrazioni sociali, ma è diventato alla portata di tutti.
Le compagnie aeree low cost e la competitività dei prezzi nel villaggio globale hanno sdoganato il concetto di viaggio di piacere di carattere elitario, mentre la ben nota tragicità della situazione lavorativa nel nostro paese ha spinto ogni genere di figura professionale a cercare la possibilità di un futuro migliore all’estero.
Se nei primi anni del Novecento ad emigrare erano contadini e operai, a spostarsi adesso sono anche professori, dottori e professionisti, che in patria sarebbero precari a vita.
Ma come siamo noi Italiani in viaggio? Quali sono le cose che ci contraddistinguono? Ci sono cose vere a fondamento degli stereotipi? Negli anni da assistente di volo ho raccolto impressioni, opinioni e mi sono fatta un’idea di come veniamo “percepiti” quando non “giochiamo in casa”.
La prima cosa che mi sento di smentire è la solita storia che “gli Italiani non parlano Inglese”. Perché se è vero che spesso la scolarizzazione in questo senso può essere carente, e il doppiaggio di film e telefilm non aiuta l’assimilazione della lingua a livello quotidiano, come invece avviene in altri paesi (tipo il Portogallo, in cui le pellicole non vengono doppiate ma sottotitolate), è altrettanto vero che non mi è mai capitato di imbattermi in persone che non capissero nemmeno una parola quando venivano apostrofate da un collega straniero.
Certo, la situazione varia sensibilmente a seconda delle generazioni, ma questo è anche normale, ed è universale. Una persona di sessant’anni, anche di buona cultura, ma che non ha mai viaggiato all’estero e non ha mai studiato Inglese perché quando andava a scuola la lingua straniera studiata era, magari, il Francese può avere più difficoltà di un ragazzino cresciuto nell’era di Internet e della globalizzazione.
Inoltre la maggior parte di noi per lo meno ci prova ad esprimersi in un’altra lingua, cosa che non si può dire, ad esempio di molti anglofoni. Un altro luogo comune riconosciuto universalmente è che “gli Italiani sono chiassosi e gesticolano”. Partendo dal presupposto che ciascuno ha la propria personalità e anche nel cuore della nostra Penisola c’è chi è più silenzioso e introspettivo di altri, in linea di massima questa affermazione è vera.
Rispetto ad un volo pieno d’Inglesi, uno pieno di Italiani sarà sicuramente più allegro, con persone che parlano ad alta voce e si, magari gesticolano molto. Perché è parte del nostro sostrato culturale: il linguaggio del corpo è una componente fondamentale del nostro modo di comunicare e aggiunge espressività e intensità a ogni discorso. E devo dire che mi è capitato di riscontrare metodi di comunicazione simili in passeggeri che vengono da altri paesi “latini”.
Una cosa che la maggior parte dei miei colleghi teme quando ci si appresta a operare un volo italiano, è la situazione valigie. In linea di massima (e qui è colpevole anche la sottoscritta) quando noi si va da qualche parte, si tende a portare ogni sorta di aggeggio o capo d’abbigliamento che “potrebbe essere utile”, e questo comporta una aumento esponenziale di borse, borsettine, buste, maglie infilate una sull’altra e via dicendo.
In molti casi ci si porta cibo per il viaggio, cosa che ritengo giusta, visto il rincaro dei prezzi a bordo, ma che per ovvie ragioni rende ancora più scomodo compattare il proprio bagaglio a mano. Inoltre, lo ammetto, quando viaggiamo noi Italiani siamo caotici.
Agli imbarchi non ci sono file, ma persone disposte in maniera casuale che si ammassano l’una sull’altra appena apre il gate, e i boarding hanno una durata sempiterna perché la maggior parte di noi impiega dieci minuti a sistemare il bagaglio in cappelliera, rallentando il passaggio degli altri passeggeri che ancora non hanno raggiunto il loro posto.
Però, una volta finito tutto questo, quando le porte sono chiuse e ciascuno è seduto con la sua bella cintura di sicurezza allacciata, mentre il Capitano presenta l’equipaggio e comunica qualche informazione sul volo, devo dire che è una delizia osservare quella cabina piena di gente emozionata, che presta attenzione a quello che si dice.
Mai una volta, su un volo italiano, ho dovuto interrompere una dimostrazione di sicurezza perché c’era troppo chiasso e raramente mi è capitato di discutere con un mio connazionale per motivi futili, come a volte è successo in altri casi, e di questo vado particolarmente fiera.
Tendenzialmente gli Italiani seguono le direttive che gli vengono date e –credeteci o no- non stanno là a fare polemica se gli si chiede di spegnere il computer per il decollo, o di aspettare due minuti che sia sicuro per usare il bagno.
Un’altra cosa che ci distingue è l’aggregazione. Dei perfetti estranei che si imbarcano sullo stesso volo, possono atterrare a destinazione ed essere diventati amiconi! Un Italiano che vive già all’estero e incontra qualcuno che sta partendo per la prima volta, sarà quasi sempre disposto ad aiutarlo e dispensare consigli, condividendo la propria esperienza, e questa pagina ne è la prova.
Il senso di appartenenza è una cosa che coinvolge tutti noi, anche i più restii ad ammetterlo, ed è bello. Come quando, lavorando, t’imbatti in persone che tornano in patria dopo un viaggio per l’Europa e quando ti sentono parlare Italiano ti abbracciano e ti trattano come fossi loro parente!
Personalmente, tutte le volte che sul foglio turni mi è capitato di vedere un volo italiano, io ho sorriso. Tutto diventa più fluido quando si parla la stessa lingua, si condividono le radici, le abitudini e il senso dell’umorismo: ci si sente più vicini a casa, anche quando si è tra le nuvole.
By Giulia